La battaglia del grano

La battaglia del grano

“Le peggiori crisi sono quelle che si sprecano” (W. Churchill)

Paura e sofferenza. Ma anche spinta all’innovazione ed all’adattamento. In concomitanza con la crisi internazionale legata al conflitto tra Russia e Ucraina, è emersa una criticità del nostro sistema produttivo. A cui possiamo porre rimedio. E rimediare a quanto non fatto dopo la crisi alimentare del 2008.

LA CRISI ALIMENTARE DEL 2008

Ma cosa successe 15 anni fa?

A partire dal 2007 e fino alla primavera 2008, i prezzi dei cereali crebbero incredibilmente. Addirittura in poche settimane il prezzo di alcune varietà di riso e di grano aumentò del 150%.

Generando una vera e propria crisi alimentare.

LE CAUSE DELL’AUMENTO DEI PREZZI

Ma cosa fece schizzare verso l’alto le quotazioni? Apparentemente sembrava che la causa fosse l’aumento della domanda dovuto alla crescita dei paesi emergenti (Cina e India).

Ma in realtà determinate fu l’aumento della produzione di biocarburanti (con conseguente riduzione dell’offerta di cereali e aumento dei prezzi della terra arabile) [1]. Seguito dall’aumento dei prezzi del petrolio che fece lievitare i costi della produzione agricola e delle aspettative di inflazione.

MOTIVI OCCULTI

Ad incidere furono anche le speculazioni sul mercato dei futures delle commodities scatenate dell’afflusso di liquidità generatosi con la crisi dei mutui subprime americani.

Esauritasi la bolla, dall’estate del 2008 i prezzi incominciarono a calare. Ma ciò non risolse la crisi alimentare perché i prezzi sul mercato finale sono rimasti alti a causa della rigidità dei margini commerciali.

Le soluzioni proposte [2], tuttavia, anziché puntare sulla sovranità alimentare come contraltare all’ingiustizia economica, si basavano su agricoltura chimica su larga scala, innovazioni biotecnologiche e supply chain management. Con un ruolo centrale riconosciuto ai grandi traders dell’agribusiness [3].

LA SITUAZIONE UCRAINA NON È IL VERO MOTIVO

Paradossalmente, dopo 3 lustri la capacità di autoappovigionamento [4] dell’Italia è in picchiata: nel 2021 il 36% per il grano tenero (a fronte del 36% del 2016 e del 50% nel 2008 [5]), il 56% per il grano duro (a fronte del 73% del 2016 e del 79,3% nel 2008), il 53% per il mais (a fronte del 60% del 2016 e dell’82,4% nel 2008) [6], il 73% per l’orzo (l’unica produzione in miglioramento). Esattamente il contrario di quanto avrebbe dovuto verificarsi.

ECCO DA CHI ACQUISTIAMO I CEREALI

Ovviamente non dipendiamo da un solo mercato. Ma i principali fornitori sono gli altri Paesi membri dell’UE (37%, e soprattutto l’Ungheria che da sola ci fornisce oltre il 14%), il Canada (18%), l’Australia (7,23%), gli Stati Uniti (4,73%).

E i paesi in guerra?

Dalla Russia importiamo il 2,85% mentre dall’Ucraina “appena” l’1,44% [7]. Oggettivamente, quote residuali.

Ma allora perché un tale shock dei prezzi? Secondo Ismea, il conflitto si è sommato a tensioni sui mercati dei cereali come non si vedevano dalla precedente crisi dei prezzi del 2007-2008. E queste tensioni sarebbero state scatenate da un insieme di fattori di tipo congiunturale, geopolitico e – non ultimo – speculativo [8].

LE CAUSE DEGLI AUMENTI

In particolare, per il grano duro c’è stato il crollo della produzione nordamericana a seguito della siccità del 2021 [9]. Per il frumento tenero, di cui Russia e Ucraina rappresentano il 14% della produzione mondiale, l’andamento dei futures. Per il mais, il settore primario della Cina – che già durante la pandemia da Covid-19 aveva iniziato ad accumulare enormi scorte di grano [10] – è ripartito dopo il disastro scatenato nel 2019 dalla peste suina africana [11].

A fronte di ciò, l’Italia risulta particolarmente vulnerabile in ragione dell’alto grado di dipendenza dall’estero per gli approvvigionamenti di cereali e fertilizzanti.

In particolare per il frumento tenero, importante perché ha il duplice impiego sia nella filiera food che in quella feed (e in quest’ultimo caso sia quale componente di una formulazione mangimistica, sia quale utilizzo diretto nelle aziende zootecniche).

UNA CRISI ANNUNCIATA. A CUI BISOGNA PORRE SUBITO RIMEDIO.

I produttori avevano già avvisato le istituzioni ben prima che la situazione ucraina precipitasse [12].

L’autosufficienza dell’Italia rispetto al fabbisogno di grano duro e dell’industria di “trasformazione”, secondo gli attuali rendimenti unitari, si raggiungerebbe mettendo a coltura circa ulteriori 400.000 ettari. Un’area all’incirca tre volte e mezzo la superficie amministrativa di Roma Capitale. Non enorme, considerando che la superficie agricola totale in Italia è pari a 16,7 milioni di ettari mentre la superficie agricola utilizzata in Italia è pari a quasi 12 milioni e 600mila ettari [13].

Significa che ci sono circa 4 milioni di ettari di terreni aziendali permanentemente non coltivati, ma suscettibili di essere utilizzati a scopi agricoli mediante l’intervento di mezzi normalmente disponibili presso un’azienda agricola. Tale dimensione rende non necessario ridiscutere l’impiego del 5% delle superfici agricole seminabili ad aree ecologiche (il c.d. greening), come richiesto da più voci.

IL NODO GRANO TENERO

Più complesso risolvere le criticità del grano tenero, in quanto i 498.000 ettari risultanti dalle proiezioni sul raccolto 2022 dovrebbero essere quasi triplicati, per consentire di colmare il gap produttivo e raggiungere l’autosufficienza nazionale.

Per il mais, invece, le superfici investite evidenziano un preoccupante trend in diminuzione a partire dall’anno 2015 (-47%). Per soddisfare il fabbisogno della filiera, i circa 500.000 ettari attualmente destinati a granoturco andrebbero pressoché raddoppiati.

Rispetto all’orzo, invece, in base alle proiezioni in ordine alle previsioni di semina in vista del raccolto 2022, le superfici attuali di circa 240.000 ettari andrebbero aumentare di almeno ulteriori 80.000 ettari.

LA SOVRANITA’ ALIMENTARE E’ L’UNICA VIA PERCORRIBILE

L’Italia è ad un bivio. Continuare a sottostare a quotazioni fortemente influenzate dalle dinamiche internazionali (economiche, sociali, politiche)?

Oppure considerare il cibo (e la salute alimentare) un diritto fondamentale da garantire ai propri cittadini e pertanto perseguire la via dell’autosufficienza?

Sia chiaro. L’obiettivo 100% di autoapprovvigionamento non significa assolutamente chiusura dei mercati. Significa acquisire maggior peso rispetto al mercato, nonché la capacità di far fronte a situazioni di crisi.

UN MODELLO VINCENTE DI GOVERNANCE ANCHE PER I CEREALI

Fondamentale è però definire subito la governance del processo.

In Italia un case history di successo già c’è. È l’Ente Nazionale Risi, nato nel 1931 per tutelare la coltura del riso e gli agricoltori che la praticavano. Oggi, con risvolti sicuramente certi e soddisfacenti per tutti gli operatori e notevoli benefici per i consumatori finali, garantisce la tracciabilità della coltivazione, della trasformazione e della vendita. Il tutto in linea con il Green Deal. Tale modello andrebbe seriamente preso ad esempio.

Strategico resta comunque promuovere e rafforzare l’organizzazione di filiera e migliorare la posizione degli agricoltori nella catena di valore. Anche rafforzando l’apprezzatissimo “grano 100% italiano”, che è OGM-free.

Operativamente, ciò è possibile attraverso un uso mirato dello strumento dei Contratti di filiera e di distretto, per i quali sono disponibili 1,2 miliardi di euro.

Progettare una politica agricola e alimentare che porti al conseguimento dell’obiettivo della sovranità alimentare è l’unica via per tutelare una molteplicità di interessi che possono essere convergenti. Quelli dell’intera filiera, sia in termini economici che produttivi che di livello qualitativo. Quello alla salute dei consumatori. Ma anche l’interesse alla tutela dell’ambiente e del paesaggio. Il tutto in quanto primario interesse nazionale.


[1] V. Sodano. La crisi alimentare del 2008

[2] FAO (2008) Soaring food prices: facts, perspectives, impacts and action required, FAO Conference on world

food security, Rome, 3-5 June

[3] Nel 2008, poche imprese private (Cargill inc, USA; Bunge Ltd., Bermuda; Archer Daniels Midland, USA; Louis Dreyfus, France; Marubeni, Japan) controllavano il 90% del commercio mondiale dei cereali. Inoltre sei corportions (Bayer, Germania, 19%; Syngent a, Svizzera, 19%; BASF, Germania, 11%; Dow AgroScience, USA 10%; Monsanto, USA, 9%; DuPont, USA, 6%) controllavano i tre quarti del mercato mondiale di pesticidi. Mentre il mercato delle sementi era occupato ormai per l’82% da prodotti soggetti a brevetto e circa il 70% di questi ultimi è venduto da 10 imprese, con Monsanto e DuPont (USA) che da sole coprivano il 40% dell’intero mercato.

[4] produzione/consumo apparente

[5] Focus cereali 2011. Ismea

[6] Cereali – Supply balance sheet. Ismea

[7] La mappa degli scambi con l’estero per anno (2021). Ismea

[8] Guerra in Ucraina: le conseguenze per l’agroalimentare. 3 marzo 2022, Ismea

[9] L. Pasqualini. Crolla la produzione di grano duro: colpa del caldo record in Canada. 30 agosto 2021, Meteored

[10] La Cina si è accaparrata metà delle riserve di grano mondiali. Perchè? 29 dicembre 2021, Scenarieconomici.it

[11] L’epidemia di peste suina in Cina è un disastro. 6 giugno 2019, Il Post

[12] «Nel 2022 non ci sarà abbastanza grano per tutti» : il pastaio D’Urso dal Ministro Patuanelli. Ottobre 2021, Orticalab

[13] L’agricoltura italiana conta 2019. (2020) CREA

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