Da domenica scorsa più di 180 km di spiagge e scogliere israeliane sono chiuse: una fuoriuscita di petrolio in mare aperto ha riversato tonnellate di catrame lungo la costa. Una giovane balenottera comune, morta dopo aver ingerito il veleno nero, è stata trascinata su una spiaggia nel sud d’Israele. Alcuni volontari accorsi per la pulizia dei litorali e per salvare la fauna sono stati ricoverati in ospedale per aver inalato fumi tossici. Gravissimi i danni all’ecosistema nelle riserve naturali, come quella di Gador, ma con rischi anche per la barriera corallina di Eilat. Ed oggi la marea nera ha raggiunto il Libano.
Le autorità ritengono che la causa del peggior disastro ecologico di Israele sia stata una petroliera passata a circa 50 km dalla costa l’11 febbraio.
L’Ente europeo per il traffico marino sta provando a individuare il responsabile dello sversamento. Ma non si esclude che possa trattarsi di una nave operante nell’illegalità: ovvero che abbia disattivato i sistemi obbligatori GPS e AIS per rendendosi invisibili alle autorità.
Sarebbero quasi 2.850 le navi fantasma o con bandiere di comodo che in soli due mesi del 2017 hanno solcato i mari europei: non solo cargo, ma anche petroliere. Per effettuare scambi commerciali illeciti di ogni tipo. Il tutto con grossi rischi non solo per la sicurezza, ma anche per l’ambiente.
Un quarto delle movimentazioni mondiali di petrolio avviene nel Mediterraneo. Che però è un mare semichiuso con un lentissimo ricambio delle acque: le sole acque superficiali impiegano mediamente oltre un secolo per rinnovarsi. Ai traffici si aggiungono i rischi di un sempre più frequente “stoccaggio galleggiante” di greggio, seppur di taglia inferiore alla settantina di super tanker Vlcc normalmente stazionanti nel Golfo del Messico o a largo di Singapore.
Rischi tanto elevati quanto inaccettabili: delle 8.750 specie elencate tra le biodiversità marine, il 10 per cento vive solo nel Mediterraneo. Per non parlare delle coste, estremamente antropizzate.
Una minaccia costante che arriva non solo dagli incidenti o dagli oil-spill (come accaduto in Israele), ma anche dall’inquinamento operazionale: il lavaggio delle cisterne nonché lo scarico delle acque di zavorra ( ovvero l’acqua di mare utilizzata dalle navi petroliere per riempire le loro cisterne al fine di mantenere la stabilità quando si effettuano viaggi con carico parziale o senza carico) e quelle di sentina comportano ogni anno lo sversamento nei nostri mari di tonnellate di idrocarburi.
Un problema di tutela dell’ambiente marino che fin dagli anni ’50 prova a trovare risposta nelle varie convenzioni:
- 1954 – la convenzione di Londra sulla prevenzione dall’inquinamento da idrocarburi (oilpol 1954);
- 1963 – il trattato di Mosca sul divieto di esperimento delle armi nucleari nello spazio subacqueo;
- 1969 – la convenzione di Bruxelles sull’intervento in alto mare in caso di incidente, per contenere il rischio di
inquinamento marino di idrocarburi; - 1972 – la convenzione di Londra sulla prevenzione dell’inquinamento marino derivante dallo scarico di rifiuti e di
altre sostanze (CLC 1969); - 1973 – la convenzione di Londra per la prevenzione dell’inquinamento legato alle navi (Marpol 1973), emendata con il
protocollo 1978 (da cui nota anche come Marpol 73/78): i principali strumento per la prevenzione e il controllo degli impatti ambientali delle navi; - 1976 – la Convenzione di Barcellona sulla salvaguardia del Mar Mediterraneo, che ha sollecitato l’applicazione delle disposizioni emanate dalla MARPOL;
- 1982 – la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay (UNCLOS) e ratificata in Italia con la legge 6 dicembre 1994, n.689.
L’affondamento della nave Prestige, nel 2002, segna un ulteriore importante tappa. Con le risoluzioni MEPC 50, l’IMO (l’organizzazione marittima internazionale) ha fatto proprie le indicazioni contenute nella normativa comunitaria 1726/2003/CE che modifica la precedente direttiva 417/2002/CE: in pratica, ha richiesto la dismissione delle navi petroliere a scafo singolo secondo un calendario più restrittivo del precedente.
L’Unione europea è intervenuta anche successivamente imponendo altre modifiche al regolamento 417/2002/CE emanando due atti normativi: il regolamento 2172 del 17 dicembre 2004 ed il regolamento 457 del 25 aprile 2007.
A seguito del naufragio della petroliera Erika sono stati adottati diversi provvedimenti comunitari in tema di sicurezza marittima. Si tratta di alcuni regolamenti e direttive che sono raggruppati in tre pacchetti normativi chiamati Erika I, II e III.
Per quello che riguarda la modernità della flotta e il rispetto della normativa, la situazione in Italia e nel Mediterraneo sembrerebbe positiva. Ma le navi “illegali” sono sottratte al campo di applicazioni di tali norme, o perché con bandiere di comodo o addirittura fantasma. E purtroppo le conseguenze degli sversamenti di petrolio nel Mediterraneo, che è un mare semi-chiuso, con correnti particolari, di dimensioni ridotte e con un lentissimo ricambio delle acque, rischiano di essere irreparabili.
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