Carissimo gas: rischio inverno al freddo?

Carissimo gas: rischio inverno al freddo?

In concomitanza con l’inizio dell’anno termico (cioè il periodo contrattuale di fornitura industriale dell’energia), il primo ottobre potrebbe scattare anche in Italia il rincaro delle bollette. Che colpirebbe un gran numero di consumatori domestici, professionali e industriali. Sia quelli del mercato libero (per i contratti di fornitura a rinnovo annuale) che quello «tutelato» (le cui tariffe sono aggiornate ogni tre mesi).

Addirittura, secondo l’Arera, il prezzo a termine del terzo trimestre 2021 “risulta in aumento di circa il 50% rispetto a quello utilizzato per l’aggiornamento del secondo trimestre 2021“.

Ma perché tutto ciò? E perché né le fonti rinnovabili né il nucleare sembrano essere d’aiuto al caro-bollette?

I motivi sono principalmente globali (economici, geopolitici, metereologici), ma anche “nostrani”. In ogni caso, sembra una tempesta perfetta.

Vediamoli più nel dettaglio.

  1. In tutto il mondo la domanda di energia corre all’impazzata. La ripartenza post-pandemica delle economie asiatiche sta facendo incetta di greggio e gas naturale liquido. Tuttavia l’offerta di materie prime è bassa e le fonti rinnovabili non bastano a soddisfare il fabbisogno.
  2. In Europa un mix di fattori ha ulteriormente fatto rincarare i prezzi: in primis la ripresa economica, e gli annessi consumi.
  3. Ma anche le scarse importazioni di gas nel Vecchio continente, che copre il 24,6% del fabbisogno energetico dell’Europa e le cui riserve ora sono al 70%.
  4. Gli aspetti metereologici hanno ulteriormente peggiorato la situazione: la primavera particolarmente fredda, con temperature più basse della media fino a maggio, e l’estate molto calda, con livelli record di afa (soprattutto Spagna), hanno fatto schizzare la domanda di energia. Inoltre i venti deboli di questa estate hanno portato a livelli record il costo del chilowattora in Inghilterra e negli altri paesi che hanno puntato sull’eolico (come la Germania).
  5. Le fonti rinnovabili non hanno aiutato più di tanto, anche perché a livello europeo contribuiscono appena per il 15,4% (il 19% in Italia). Inoltre i produttori di energie rinnovabili e nucleari, quando vendono le loro partite di corrente alla borsa elettrica, cercano di spuntare il miglior prezzo possibile. E le collocano a un valore immediatamente inferiore di quello dei concorrenti fossili, realizzando maggiori profitti.
  6. Le normative ambientali (da ultima, Fit for 55) e la corsa alla decarbonizzazione hanno contribuito a far crescere i costi di produzione. La progressiva riduzione dei carbon certificates a opera dell’Ue ne ha alzato i prezzi. Ma per continuare a fornire l’elettricità che serve, le centrali devono accollarsi il costo e provare a ribaltarlo parte sul cliente finale.
  7. Le difficoltà politiche nel raddoppio del gasdotto Nord Stream hanno fatto calare le esportazioni di gas della Russia e della Norvegia verso la Ue.
  8. Alcuni problemi nei giacimenti del Mare del Nord e l’esaurimento in atto di uno dei più importanti dei Paesi Bassi hanno fatto registrare un’ulteriore riduzione di gas naturale disponibile.
  9. La crescita dei prezzi degli Ets (Emission trading scheme), ovvero il mercato europeo delle quote di emissione di CO2 che le aziende pagano dal 2005 per “poter inquinare”, è addirittura voluta riducendone periodicamente la cui quantità. Inoltre il meccanismo cap-and-trade, che consente di scambiare le emissioni, può dar luogo a delle speculazioni.
  10. In Italia, ai costi all’ingrosso si aggiungono le spese di distribuzione e trasporto (con un costo medio chilometrico per le merci pari a 1,12 €/km, più alto dell’1.08 €/km della Francia o dell’1.04 €/ km della Germania, ma addirittura doppio se si considerano le realtà dell’Europa dell’Est), le tasse, le addizionali, gli oneri per finanziare la ricerca elettrica, smaltire l’eredità nucleare, finanziare le fonti rinnovabili d’energia. In particolare, gli incentivi alle fonti rinnovabili d’energia pesano sulle bollette finali degli italiani circa 12 miliardi di euro l’anno (pari a 3-3,5 centesimi al chilowattora).

Come stanno affrontando il problema all’estero?

In Germania la fornitura è contrattata per periodi di uno o due anni e ad un prezzo fisso quindi i costi ancora non si fanno sentire in bolletta.

In Francia i consumatori non stanno risentendo dei maggiori costi dell’energia perché la maggior parte ha una tariffa fissa con il gigante EDF (di proprietà statale per più dell’80%) che è regolata annualmente.

Madrid invece ha previsto due interventi: in primis una riduzione dell’imposta sull’elettricità dal 5,1 % allo 0,5 %. E poi maggiore tassazione per i super-profitti dei produttori di energia idroelettrica e nucleare. Il ricavato verrà utilizzato per ridurre le bollette.

E in Italia, che è il secondo più grande importatore d’Europa, dove più di metà dell’elettricità prodotta viene dalle centrali termoelettriche a ciclo combinato alimentate con metano?

Il governo pensa di mitigare l’aumento del prezzo delle bollette spostando parte degli oneri di sistema, ovvero i costi non direttamente legati al consumo di energia da parte del consumatore, sulla fiscalità generale. Ma ciò porterebbe ad altre imposte. E inoltre nel ridurre eventuali oneri e sovraccosti, spostando o riducendo voci che gravano sulla bolletta, il Governo dovrà anche stare attentissimo a evitare di creare aiuti di Stato nascosti.

Per le categorie più in difficoltà, invece, si interverrà con un bonus energia e un bonus sociale gas, per le quali l’impatto dei rincari dovrebbe essere almeno mitigato.

Per tutti gli altri utenti l’Iva oggi prevista al 10 e al 22% a seconda del consumo, è portata al 5%.

La sfida lanciata dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima voluto dal Governo italiano ha posto al 2030 l’obiettivo di soddisfare il 55% del fabbisogno nazionale con fonti rinnovabili variabili non programmabili (e quindi soprattutto eolico e fotovoltaico). Ma a quella data la metà delle turbine attualmente installate in Italia sarà giunta al fine vita, con grossa incertezza sui risvolti ambientali di tali dismissioni e soprattutto dell’impatto dello smaltimento dei polimeri rinforzati con fibre (FRP) utilizzati nelle pale. In conclusione, a nostro avviso il mercato elettrico italiano, figlio delle liberalizzazioni di fine anni ’90, è interamente da ripensare. E velocemente.

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